Piovono virus

Dopo la crisi. Paghi chi non ha mai pagato

La tempesta Covid 19 che ha investito l’intero pianeta, stravolgendo totalmente vite, abitudini, comportamenti, a oramai cinque mesi dal suo primo ufficiale manifestarsi, non accenna a placarsi. L’Italia, che è uno principali centri di diffusione mondiali del virus, dopo essersi in un primo tempo accreditata come modello da imitare nell’affrontare l’emergenza e dopo avervi rinunciato vista l’alta mortalità che ha contraddistinto il diffondersi dell’epidemia in alcune regioni, si appresta alla fatidica fase due a partire dal 4 maggio. Se nel pieno della circolazione del virus a prevalere era l’aspetto sanitario, per cui si prospettava che il ritorno alla normalità sarebbe avvenuto solo dopo la sua scomparsa, col passare delle settimane ha cominciato a farsi strada la prospettiva di una convivenza forzata con il contagio, così gli aspetti sanitari sono passati in secondo piano e quello economico ha ripreso il sopravvento. Dunque, quando ancora non è chiara l’evoluzione dell’epidemia, continua la conta dei morti e dei contagiati e medici e scienziati avvertono sul pericolo di una persistenza del virus ancora per lunghi mesi, i pasdaran della produzione a tutti i costi sono riusciti ad imporre la loro logica: riavviare la macchina economica. Se così non avvenisse, sostengono, andremmo incontro ad un vero e proprio disastro ed una perdita di Pil mai vista, neppure dopo la fine delle guerre mondiali. Ed è esattamente quello che dicevano già all’inizio dell’epidemia. Ci sono poi voluti i quasi mille morti giornalieri e alcuni scioperi dei lavoratori per acquietarsi un po’. Ma adesso che il numero dei morti giornalieri oscilla sopra i trecento, sono tornati vittoriosi all’attacco. Così a partire dal 4 maggio e gradualmente fino al 1 giugno tutto dovrebbe ritornare alla normalità o quasi. Sorvolando sul fatto che l’economia italiana non si è affatto fermata e molte attività anche non essenziali hanno funzionato in piena emergenza – infine i settori più colpiti sono alcune attività artigianali, turistico-ristorative, dello spettacolo e culturali – il punto non è aprire sì, aprire no. Perché se è vero, come pare, che stiamo vivendo una svolta epocale nella storia dell’umanità e che la condizione in cui ci troviamo è il frutto di un modello economico fondato sul potere del denaro e dell’accumulazione a tutti i costi – che non si preoccupa di distruggere la natura e di sopraffare e asservire la stragrande maggioranza della popolazione mondiale-, è altro quello di cui dovremmo parlare. Non di far riaprire il ristorante sotto casa o il proprio barbiere, o far ripartire la produzione di armi o di automobili, dalle quali siamo assediati. In una condizione di totale e straordinaria emergenza una società che si dica umana dovrebbe solo assicurare la sopravvivenza fisica dei suoi componenti: nutrire, curare, vestire. Tutto il resto non dovrebbe contare. Invece il dibattito pubblico è vampirizzato da questioni assolutamente inessenziali. Persino dalle previsioni della fantomatica agenzia Fitch che “declassa l’Italia” che perderebbe l’8% del suo Pil e di cui tutti i media hanno parlato con toni allarmati, come fosse una verità incontrovertibile. Se la natura, giustamente, matrigna ci minaccia, all’uomo non resterebbe che unirsi in “social catena” e diffidare delle “magnifiche sorti e progressive”. Basterebbe oggi riprendere gli avvertimenti che Leopardi volle lasciare ai suoi contemporanei al tramonto della sua esistenza per individuare la direzione verso cui dobbiamo andare: un radicale ripensamento delle nostre società, un gigantesco piano di riconversione della nostra economia. Altro che ritornare alla normalità. Una normalità che, ricordiamolo, non esisteva già, mentre esistevano e ancora sono presenti mostruose disuguaglianze, guerre e violenza diffuse, una crisi ambientale che rischia di diventare irreversibile e far implodere da qui a pochi decenni l’intero pianeta, se non interviene qualche altra pandemia più aggressiva di quella che stiamo subendo.

Purtroppo nulla di tutto questo, se non in forma sporadica, è al centro della riflessione collettiva. Il nostro sguardo viene annebbiato e il nostro orizzonte viene chiuso nel recinto delle compatibilità economiche: produrre e consumare qualsiasi cosa pur di salvaguardare il circuito del profitto. Anche speculando sulla vita e sulla salute di tutti noi, come avverrà nel momento in cui una terapia medica o un vaccino verranno trovati e, si spera, renderanno il virus inoffensivo. Quelle terapie e quel vaccino dovremmo pagarceli, individualmente o collettivamente, e qualcuno ci si arricchirà.

Come già da adesso ci stanno preparando a dover pagare il conto di quanto si sta spendendo per affrontare l’emergenza. Che siano eurobond, Mes od ogni altro meccanismo che verrà inventato, il debito accumulato in questi mesi ricadrà interamente sulle fasce più deboli della società che dovranno pure subire un peggioramento delle loro condizioni per la crisi economica che necessariamente seguirà alla pandemia. Pochi esempi sono indicativi di quello che ci attende superato il contagio. Il debito pubblico, in mancanza di provvedimenti quali una patrimoniale che colpisca grandi patrimoni o una reale imposizione progressiva che gravi sui redditi alti, cose che nessuna forza politica presente nel panorama istituzionale italiano vuole prendere in considerazione, non può che essere scaricato sulle classi lavoratrici. Non ci sono alternative, è una vecchia tradizione dei regimi liberali, se non fai pagare ai ricchi, si aumentano le imposte indirette, ad esempio l’Iva. E naturalmente si tagliano i servizi, altro che potenziare la sanità. Emblematica la bagarre suscitata dalla timida proposta di alcuni esponenti del Pd di introdurre una imposta temporanea sui redditi oltre gli 80 mila euro annui. Qualche esponente politico al solito ha tirato fuori l’adagio di non mettere le mani nelle tasche degli italiani, quando si trattava di fare pagare una piccola somma a 800 mila persone a vantaggio di diversi milioni di persone senza reddito. Però poi si riempiono la bocca di solidarietà! I lavoratori vedranno peggiorate le loro condizioni. Gli industriali hanno reso note le loro condizioni: per salvare il Paese nessuno deve protestare o lamentarsi se si dovrà rinunciare alle ferie, sottoporsi a straordinari, moderare le richieste salariali. Infine le fasce più povere saranno spinte sempre più verso il basso perché non ci saranno risorse, non per un vero reddito universale, ma neppure per il pallido reddito di cittadinanza appena introdotto. A meno che non si intervenga sulla distribuzione del reddito che è sempre più squilibrato: il 20% più ricco possiede il 72% della ricchezza (dati Oxfam).

In definitiva, se proprio non ci vogliamo interrogare sull’ormai inesorabile tramonto del modello occidentale di mercato, comunque ci troveremo un pesante fardello sulle spalle che difficilmente riusciremo a sopportare. E nuovamente saremo costretti a confrontarci con le tendenze voraci di un sistema che distrugge uomini e ambiente. Non ci resta che la social catena ovvero una grande mobilitazione sociale che rimetta tutto in discussione.

Angelo Barberi

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