La razza non esiste, il razzismo invece sì

Più volte da queste pagine (ad esempio lo speciale del dicembre 2018) abbiamo discusso dell’assurdità e della infondatezza scientifica del concetto di razza: una invenzione nata per giustificare violenze e soprusi, che nel XIX secolo ha raggiunto il suo culmine parossistico, con le note e drammatiche legislazioni e i piani di genocidio di masse.
Il secolo successivo ha visto il diffondersi di una consapevolezza più o meno generalizzata riguardo ai problemi connessi all’idea di razza e, lentamente, alla sua infondatezza, anche se il ripetersi di eventi come quello che ha coinvolto George Floyd e le statistiche sulla brutalità della polizia nei confronti della popolazione afro-americana (e latina, e indigena, etc.) in America ci ricordano che le cose non sono cambiate in fondo così tanto.
La repressione poliziesca – negli USA, ma casi simili sono purtroppo validi anche in altri paesi – è legata direttamente e in profondità con le idee schiaviste del suprematismo bianco. L’origine delle forze di polizia infatti sono state con sicurezza ricondotte alle pattuglie anti schiavi (slave patrol) e alle ronde notturne nate negli stati del sud. Si trattava di gruppi di cittadini, bianchi e armati, decisi a porre sotto controllo i tentativi di fuga ed emancipazione da parte degli schiavi neri.
Essendo questa l’ignobile origin story della polizia nel sud degli USA, non sorprende che le minoranze di tutto il paese non abbiano mai smesso di subirne le conseguenze, fino ai giorni nostri – nonostante le numerose commissioni d’inchiesta, i tentativi di riforme, i proclami, le potenti lotte, le innumerevoli vittime. La situazione è così radicata da risultare persino paradossale: provate a chiedere a voi stessi o ai vostri conoscenti, di fare una stima della percentuale di popolazione afro-americana oggi negli USA: in molti, se non tutti, daranno la stessa risposta, un numero sovrastimato. E questo perché la minoranza afro (insieme alle altre) è sovrastimata anche in tutte le classifiche – in negativo, per quelle di accesso all’assistenza sanitaria, grado di educazione, reddito medio; e in positivo, per tasso di omicidi, presenza nelle carceri e in quanto a vittime della brutalità da parte delle forze dell’ordine. Sono le conseguenze tangibili e concrete nelle vite di milioni di persone, di una cosa soltanto, che non dovrebbe esistere ma è invece lì, e non sembra purtroppo avere intenzione di andarsene tanto presto: il razzismo. Un’idea condivisa, a volte in maniera occulta, a volte – e più spesso – in maniera esplicita, anche dai più progressisti tra i cittadini: in questa ottica distorta, non lo sradicamento da un continente, non i viaggi nelle mani dei negrieri, non lo schiavismo e le innumerevoli violenze subite per generazioni e generazioni, non la segregazione forzata e il costante, continuo rifiuto dell’integrazione (sui mezzi pubblici, nel sistema scolastico, in quello lavorativo) – non tutte queste orribili cose sono la semplice, ovvia e umana spiegazione delle odierne difficoltà di milioni di persone che vivono sotto la soglia della povertà e ancora in molti casi pesantemente svantaggiate, dopo decenni di vani discorsi sull’uguaglianza. No, secondo una enorme parte della popolazione bianca americana, tutto questo dramma umano è una conseguenza del colore della pelle e di una inferiorità insita. L’assurdità, l’illogicità di un simile ragionamento (ripeto, occulto o esplicito che sia) dovrebbe saltare agli occhi, esattamente come l’inesistenza del concetto di “razza”. E invece non lo fa, non so se per convenienza (mantenimento del privilegio) o per tradizione e ignoranza (educazione familiare razzista reiterata).
Se dunque, come è stato sicuramente con giuste ragioni sostenuto, sarebbe ormai arrivato il momento di abolire del tutto l’uso delle parole “razza” e “razzismo”, per non dar più alcuno spazio e riconoscimento a ciò che esse rappresentano, d’altro lato le esperienze quotidiane di soprusi e segregazione, di violenze e sottomissione, di paura di essere uccisi per il sospetto utilizzo di una banconota falsa da 20$, di una vita segnata dall’assenza in migliaia di comunità di qualsiasi servizio di supporto (con la polizia che diventa così l’unica risposta, violenta, alla gestione delle malattie mentali, della povertà, della tossicodipendenza) – tutto questo mi porta a pensare che il razzismo e la razza sono ancora reali, pure se non dovrebbero, contro ogni logica e spiegazione, in quanto esistono nella mente di centinaia di milioni di altri esseri umani (in tutto e per tutto uguali agli altri, dall’altro lato della barricata, tranne che per il colore della pelle!). E chiamare queste idee con il loro nome – come con i loro nomi debbono essere chiamate le vittime nere, latine, indigene della brutalità poliziesca (say their names!) – è ancora necessario, fino a che la razza e il razzismo non saranno del tutto eradicati dalla faccia della terra.

Gianpiero Di Maida

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