O la Borsa o la vita

Crisi. La grande abbuffata sui fondi europei

In appena 172 pagine è contenuto il passaporto per l’Italia del futuro, un futuro più radioso, più ecologico, più giusto, più competitivo, nelle intenzioni governative. Stiamo parlando del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), il documento che il governo ha approntato per potere accedere ai fondi del Recovery plan o fund, meglio noto in Europa come Next generation Eu. Il governo Conti, ormai bis, aveva dato il via libera a questa prima bozza in un problematico consiglio dei ministri il 12 gennaio scorso, ne stava cominciando a discutere con le parti sociali e avrebbe dovuto presentarlo al Parlamento, per giungere ad una versione definitiva che deve essere inoltrata in aprile all’Europa, ma il percorso si è interrotto per la crisi aperta dalle dimissioni dei ministri renziani, crisi che in questi giorni si sta sempre più avvitando su se stessa per schermaglie che dipendono esclusivamente dal posizionamento dei gruppi e dei partiti politici.

L’ammontare complessivo del Pnrr è di 220 miliardi, 209 quelli che dovrebbero giungere attraverso il Recovery fund. Con un linguaggio che vuole apparire ispirato (“Non c’è un mondo di ieri a cui tornare, ma un mondo di domani da far nascere rapidamente”) e un’architettura del testo ad incastri che mano a mano si vanno sciogliendo fino a trovare la giusta soluzione, il piano si struttura su tre assi strategici – digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica, inclusione sociale – e tre priorità trasversali – donne, giovani, Sud –, i quali si articolano in sei missioni – digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per una mobilità sostenibile; istruzione e ricerca; inclusione e coesione; sanità -, queste a loro volta raggruppano sedici componenti, le quali si definiscono in quarantasette linee di intervento. Analizzare un piano così articolato non è certo possibile in uno spazio breve, ci limitiamo ad alcune osservazioni e a qualche esempio riferito alle “componenti” individuate.

Innanzitutto il piano sconta una certa indeterminatezza, infatti nel testo più volte ricorrono espressioni come: “Tali linee progettuali verranno più puntualmente definite, con le relative concrete iniziative di investimento in coerenza con la strategia nazionale complessiva in corso di definizione per alcuni aspetti …” .

Più volte gli estensori fanno riferimento ad un presunto Rinascimento europeo che starebbe per voltare le spalle alle politiche di austerità e promuoverebbe un’Europa solidale e più inclusiva. In realtà l’orizzonte che viene tracciato è quello di un capitalismo per niente socialdemocratico, in cui impresa e mercato rappresentano i fari guida. “Il nostro Paese si riconosce pienamente in un cammino di progressiva condivisione dei rischi per investimenti volti ad affrontare priorità comuni, a recuperare capacità produttiva, a migliorare le infrastrutture materiali e immateriali, ad affrontare la transizione energetica e digitale. La sfida della crescita inclusiva riguarda tutta l’Europa, che deve trovare un nuovo ruolo nella competizione tecnologica e nella riorganizzazione delle catene del valore.” E ancora: “Next Generation EU esprime l’urgenza e l’opportunità di un vero e proprio Rinascimento economico europeo, con uno strumento che consentirà alla Commissione di ottenere fondi sul mercato dei capitali.” E si potrebbe continuare, ma non troveremmo niente di diverso dal trito armamentario del turbo capitalismo degli ultimi decenni: investimenti, competizione, innovazione. Una narrazione che si tenta di edulcorare attraverso il ricorso alle nuove parole passepartout, che solo per essere pronunciate evocano una società più giusta: inclusione, sostenibilità, green, e via discorrendo. Al centro di questa società futura e futuribile vi è la digitalizzazione, destinataria di ingenti risorse e caricata di aspettative messianiche. “Gli obiettivi di innovazione e digitalizzazione riguardano anche le altre missioni. La digitalizzazione è infatti una necessità pervasiva […]: riguarda la scuola nei suoi programmi didattici, nelle competenze di docenti e studenti […]. Riguarda la sanità nelle sue infrastrutture ospedaliere, nei dispositivi medici, nelle competenze e nell’aggiornamento del personale […] . Riguarda il continuo e necessario aggiornamento tecnologico nell’agricoltura, nei processi industriali e nel settore terziario […].Riguarda le modalità di fruizione della cultura e del patrimonio artistico e archeologico[…]. Riguarda, infine, la stessa pubblica amministrazione e la giustizia in modo capillare”. Parola veramente chiave (come è uso insegnare a scuola), anche nelle sue valenze più sinistre: “Nel corso di questo decennio, dovremmo affrontare una trasformazione digitale sempre più rapida, che peraltro è al centro della competizione geopolitica.” 

Ne viene fuori il quadro di una società ipertecnologizzata, iperconnessa, in cui la macchina prende il posto di relazioni e individui.

Se si volesse poi scendere più nel dettaglio delle proposte concrete, pur nella loro genericità, si intravede il preciso intento di rafforzare e avvantaggiare il tessuto imprenditoriale esistente, in cui la forza lavoro continua a costituire la variabile dipendente, sballottata tra lavori precari, aggiornamenti continui per adattarsi alle necessità del mercato, fin dagli anni scolastici: “Si punta alla costruzione di percorsi formativi che rispondano alle esigenze dei fabbisogni professionali delle imprese”. Limitandoci adesso alle prime due componenti della missione 2 – rivoluzione verde e transizione ecologica- ecco cosa troviamo. Prima componente – agricoltura sostenibile-, si prevedono finanziamenti ed incentivi per la riconversione delle imprese verso modelli di produzione sostenibile -senza specificare in cosa consistano-, per “l’ammodernamento dei tetti degli immobili ad uso produttivo del settore agricolo, zootecnico, agroindustriale (istallazione pannelli solari,…), per migliorare la logistica”. Tali incentivi saranno fruibili attraverso bandi e graduatorie da predisporre. Nessun accenno all’impatto negativo dei grandi allevamenti intensivi e della grande distribuzione e alla necessità di sostenere un’agricoltura di prossimità di piccole dimensioni; anzi la dimensione piccola e media delle imprese italiane è vista come un limite allo sviluppo e “alla competitività”.  Sulla seconda componente – energia rinnovabile, idrogeno e mobilità sostenibile- viene detto: “Si tratta di una delle componenti più importanti del Piano per via del suo ruolo strategico all’interno dell’obiettivo di sostenibilità ambientale e delle risorse ad essa dedicate. La componente interviene innanzitutto sulla produzione e la distribuzione di energia, favorendo il ricorso alle fonti rinnovabile predisponendo le infrastrutture necessarie per la loro integrazione nel sistema elettrico nazionale e le infrastrutture per alimentare veicoli elettrici e per lo sfruttamento dell’idrogeno liquido”. Non c’è bisogno, crediamo, di specificare chi si avvantaggerà delle risorse da investire in questi settori.

Tutta la propaganda nazionale e benpensante è impegnata da mesi a prospettare il Recovery come l’occasione storica da non perdere, ad ammonire di utilizzare questa montagna di soldi, come qualcuno ha detto, per dare una svolta a questa Italia martoriata. A noi questa montagna di soldi fa pensare alla montagna di merda di cui parlava Peppino Impastato a proposito della mafia. Un montagna che ci sprofonderà ancor più nella cloaca del capitalismo digital-cibernetico-finanziario.

Angelo Barberi

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