Le porcherie dell’Occidente

Afghanistan. Guerra infinita e ipocrisia

La “legge di Dio (Allah)”, la Shar’ ia, da qualche settimana regna in Afghanistan che non è più “Dar al- Harb”, la casa della miscredenza o della guerra , ma “Dar al -Islam”, la terra della vera fede dove regna la legge direttamente ricavata dalla “parola di Dio”. La shar’ia si deduce dal Quran, che alla lettera significa recitazione e che in 114 capitoli (Sure) raccoglie la rivelazione trasmessa in vario modo da Allah a Muhammad, il suo ultimo inviato (Rasul) a “sigillo della profezia”.
La bandiera dello stato afgano è stata ammainata e al suo posto issato un drappo bianco con la scritta “Non c’è Dio al di fuori di Dio e Muhammad è il suo Profeta”, formula nota anche come Shahada, cioè come professione di fede, uno dei cinque Arkan, pilastri della fede nell’Islam. Questa formula racchiude l’essenza dell’Islam: un monoteismo esclusivista trasmesso attraverso una catena di Profeti, che vede in Muhammad l’ultimo ed il più importante degli inviati di Dio.
Sono stati i Talebani, prevalentemente di etnia Pasthun e di fede sunnita, la corrente maggioritaria dell’Islam, ad aver occupato Kabul, la capitale dell’Afghanistan, con un’avanzata tanto rapida quanto travolgente, a partire dal sud, territorio che hanno sempre controllato, al confine con il loro principale ed ambiguo sponsor, il Pakistan.
Questa fulminea (ri)conquista di quasi tutto il paese è stata possibile anche e soprattutto grazie a due fattori: il ritiro dopo 20 anni dei contingenti militari degli Usa e dei loro alleati, in prima istanza inglesi ed italiani e l’incapacità dell’esercito del governo afgano, addestrato ed armato dagli occidentali, di opporsi, o comunque di tentare una reazione davanti alle milizie talebane, meno numerose e peggio armate, almeno sulla carta.
Esperti improvvisati, generali in congedo, giornalisti tuttologi, ministri e politologi hanno tentato di spiegarci cosa è successo, perché per venti anni sia stato necessario occupare l’Afghanistan e perché all’improvviso sia diventato improrogabile abbandonarlo, perché si è sbagliato nel ritirarsi senza un piano di evacuazione, ma allo stesso tempo perché non si sarebbe potuto fare altrimenti. Ne è venuto fuori un quadro confuso e contraddittorio, in linea con la politica e le strategie di USA ed alleati nell’ultimo ventennio.
Persino le motivazioni della presenza della coalizione militare in Afghanistan risultano contraddittorie. Biden ha sostenuto in mondovisione che gli USA si ritiravano perché la missione di mettere a tacere Al Qaeda era stata compiuta. Ma Bin Laden era stato eliminato da quasi dieci anni, senza considerare che a più riprese nei giorni a seguire Biden si è detto preoccupato per possibili attacchi a Kabul di Al Qaeda e dell’ISIS, poi tragicamente divenuti realtà. Per venti anni ci è stato ripetuto che la coalizione occidentale, che in certi periodi aveva raggiunto le 130 mila unità di militari sul campo, stava in Afghanistan per reprimere il terrorismo islamico, poi per proteggere i diritti umani, ma pure per costruire la democrazia, senza parlare dei diritti delle donne. Improvvisamente tutto questo è svanito nel giro di una settimana e gli Americani, per bocca di Biden, hanno cinicamente annunciato che l’Afghanistan non rappresentava più un interesse prioritario nella politica internazionale degli USA, con buona pace della democrazia, dei diritti delle donne e della lotta al terrorismo fondamentalista. Ci è stato ricordato che il contribuente americano era stanco di pagare tasse per una nazione distante e lontana dalla politica a stelle e strisce: si è parlato di 1000 miliardi di dollari spesi in venti anni, ma pure di cifre ben superiori, soldi però che in buona parte non sono mai usciti dagli USA, ma finiti nelle grandi industrie di armi come la Raytheon e la General Dynamics, oppure usati per pagare soldati e mercenari USA.
Quali sono i motivi della disfatta sul piano militare e politico? La coalizione non è stata in grado di vincere la guerra, non è stata capace di costruire una pace duratura sul piano politico e diplomatico. Neanche è stata capace di promuovere la nascita di una nuova compagine nazionale, autosufficiente sul piano economico, politico e militare. Il risultato è sotto gli occhi di tutti.
Preso atto dell’umiliante sconfitta, si è passati a discutere delle prospettive future. I barbuti di Allah hanno rassicurato, si fa per dire, il mondo dicendo che i diritti delle donne e di tutti gli afgani saranno tutelati, ma sempre entro i saldi confini della shar’ia, della legge di cui sono depositari e custodi unici! Come dire: “tutti saranno liberi, ma non di avere fedi diverse dall’Islam, di vestirsi come credono, di fare i lavori che preferiscono, di avere l’orientamento sessuale nel quale si riconoscono, di viaggiare e spostarsi, di sentire o suonare musica o di criticare l’Islam e i Talebani!”. In sintesi, tutti saranno liberi di essere musulmani, ma solo secondo la dottrina e la sunna, la tradizione, della versione stabilita dai Talebani. Shar’ia sta ad indicare la legge che deriva dal Corano e dall’insegnamento del profeta Muhammad ma, nel corso dei 1400 anni dell’Islam e a seconda dei contesti geografici, è stata variamente intesa. L’interpretazione che ne danno i Talebani è estremamente restrittiva ed oscurantista, anche rispetto a contesti musulmani contemporanei relativamente “progressisti”, come quelli del Maghreb o del Libano.
Se ci saranno delle aperture non di facciata da parte dei Talebani dipenderà essenzialmente da due fattori; da una parte le pressioni internazionali e l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale sulle vicende di quanti restano in Afghanistan. Soprattutto da parte dell’Europa e degli Usa. Da attori come Putin e Xi Jinping non ci si possono certo aspettare iniziative in favore dei diritti dei popoli, diritti che nella Federazione Russa ed in Cina contano assai poco. Neanche ci si può aspettare un qualche contributo da parte dell’Islam occidentale, da parte di quanti, immigrati o convertiti, ci spiegano ogni giorno che il “vero” Islam è la dimensione della pace e della tolleranza. Di fatto, i musulmani di casa nostra si allineano con le tesi dei loro “fratelli” afgani, i quali ritengono che “la democrazia è estranea alla storia e al contesto culturale dell’Afghanistan”. Come dire, “L’auto-determinazione di un popolo non è richiesta, l’indirizzo politico è dato dalla legge religiosa e da quanti la dovranno applicare”.
Per un altro verso bisogna ricordare che in Afghanistan una parte considerevole della popolazione, in una fascia d’età che va dai 15 ai 35 anni, ha una buona scolarizzazione, si è formata attraverso il libero accesso ai media e a un’informazione pluralista e differenziata, con l’ausilio dei social e attraverso un interscambio e una mobilità sul piano internazionale prima sconosciuti. Mettere veli e cappe sulle idee, sulle speranze, sugli entusiasmi, sulla voglia di futuro di questa generazione sarà meno facile che far calare i neri burqa sui corpi delle donne. La liberazione vera non potrà essere un prodotto d’importazione, ma dovrà nascere dall’interno della società afgana.

Enrico Ferri *                                                                                                         www.ferrisstudies.com

*Enrico Ferri insegna Storia dei Paesi Islamici all’Unicusano

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