LA TEMPESTA PERFETTA

Finanziaria. Le mani nelle tasche dei lavoratori

Comunque lo si voglia interpretare stiamo vivendo un passaggio cruciale in cui la pandemia/sindemia se per un verso costringe a navigare a vista, a continue emergenze, dall’altro offre l’occasione per ridefinire poteri e assetti. Ridurre, come si sta facendo, il dibattito attorno ai vaccini anti-Covid serve solo a distorcere la realtà. I vaccini, pur necessari e utili, sono insufficienti a immunizzarci; così la loro principale funzione al momento sembra essere quella di garantire il funzionamento del circuito economico – l’economia prima di tutto, al di sopra della salute, checché ne dicano il governo e le sue vestali mediatiche -, e di obliterare ogni discussione sull’individuazione delle vere cause della pandemia. Con la possibilità di mettere in atto misure adeguate.
Allo scoppio della pandemia, nel primo momento di sgomento, la sensazione diffusa era quella di trovarci di fronte ad una svolta storica che imponeva un cambiamento radicale, persino la rifondazione di una nuova umanità. Col passare del tempo tuttavia governi e poteri hanno imposto una diversa lettura, molto più “prosaica” e strumentale al mantenimento dello statu quo. Ne abbiamo un esempio eminente nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, che in Europa pomposamente e maliziosamente viene chiamato Next Generation Eu. Quale futuro le classi dirigenti europee riservano alle giovani generazioni è sotto gli occhi di tutti!

Il Piano italiano, di cui si parla e straparla in questi mesi, ha tra le sue imprescindibili realizzazioni la tutela e la promozione della concorrenza. Concorrenza che viene definita “riforma abilitante”, senza la quale dunque si rischierebbe di invalidare tutto il Piano. Proprio così, una pandemia che sta cambiando le nostre vite e avrebbe dovuto indurre profonde trasformazioni, non trova altro rimedio che garantire la libera concorrenza nel mercato. Sarebbe troppo lungo in questo contesto anche solo accennare al dibattito storico sulla concorrenza, sulla sua presunta opposizione a forme di protezionismo economico, o al mito persistente di rappresentare il vero nerbo di un capitalismo a misura d’uomo e di società, fatto di piccoli e medi produttori che si confrontano liberamente con consumatori altrettanto liberi, tutti quanti a concorrere al benessere collettivo. Che la concorrenza è un mito e una falsificazione non c’è bisogno di dimostrarlo. Eppure la concorrenza – libera – è diventata sinonimo di giustizia sociale. Come viene confermato dal disegno di legge approvato recentemente dal governo Draghi sul mercato e la concorrenza. Infatti, proprio a testimoniare dell’accezione positiva di  cui gode la parola concorrenza, all’articolo 1 “Finalità” viene scritto: “La presente legge reca disposizioni per la tutela della concorrenza […] finalizzate, in particolare,[…] a promuovere lo sviluppo della concorrenza, anche al fine di garantire l’accesso ai mercati di imprese di minori dimensioni, tenendo in adeguata considerazione gli obiettivi di politica sociale connessi alla tutela dell’occupazione, nel quadro dei principi dell’Unione europea, nonché di contribuire al rafforzamento della giustizia sociale, di migliorare la qualità e l’efficienza dei servizi pubblici e di potenziare la tutela dell’ambiente e il diritto alla salute dei cittadini”. Seguono poi una trentina di articoli in cui si esaltano trasparenza, libertà, tutela di diritti, ma se si vuole capire di cosa realmente si sta parlando bisogna analizzare l’articolo 6, quello in cui si affronta la questione dei servizi pubblici locali.
Ecco, mentre la propaganda continua a vaneggiare di un ruolo centrale dello Stato nel post pandemia, qui si riprende con grande vigore la prosecuzione dell’opera di privatizzazione che ha devastato il tessuto sociale da trent’anni a questa parte. Del resto cosa ci si poteva aspettare da chi è stato uno degli architetti principali delle privatizzazioni italiane. Adesso vengono presi di mira tutti i servizi pubblici locali, nessuno escluso, da dare in pasto agli appetiti di profittatori in cerca di facili guadagni. Un governo che avrebbe dovuto traghettarci verso una ripresa economica “duratura”, come non smettono di sottolineare i fan del draghismo, ci sta invece precipitando verso una più stringente supremazia delle classi dominanti. Anche l’ultima legge finanziaria in discussione in Parlamento si pone su questa scia: i servizi pubblici vengono ignorati, sanità – quella sanità di cui si compiacciono per avere affidato ad un generale la campagna vaccinale – e istruzione continuano ad essere le cenerentole, mentre gli unici investimenti vengono fatti, come denuncia la campagna Sbilanciamoci – negli armamenti.

Ma forse proprio dalla lotta degli anni passati contro le privatizzazioni dei servizi pubblici locali, prima fra tutte quella contro la privatizzazione dell’acqua, potremmo ricavare delle indicazioni utili per contrastare la deriva attuale. Si è probabilmente accantonata troppo in fretta l’esperienza del referendum sull’acqua pubblica, che nel 2011 portò ben 27 milioni di italiani a votare per impedire la privatizzazione di un bene comune essenziale. Quella vicenda, che ha rappresentato allo stesso tempo una vittoria e una sconfitta, e segnato una delle fratture più profonde tra “paese reale e paese legale”, andrebbe ripresa e ricontestualizzata. Perché se è vero che puntare tutto su un referendum è stato un errore di strategia, nelle pieghe di quel movimento si sono sperimentate lotte e iniziative rilevanti. Una di queste, forse poco valorizzata, probabilmente “marginale”, è recentemente ritornata a far parlare di sé. Si tratta della decisione di otto comuni della provincia di Agrigento che all’atto della privatizzazione del servizio idrico si rifiutarono di consegnare le reti, e hanno continuato in questi anni a gestirle direttamente. Adesso hanno ottenuto un riconoscimento legale per la gestione diretta del servizio. Proprio in controtendenza nel momento in cui il governo nazionale inasprisce le condizioni per le cosiddette gestioni in house. Non si tratta qui di sbandierare vittorie, certamente non renderanno la vita facile a questi comuni e gli attacchi anche in questi giorni non sono mancati, ma di individuare una metodologia di lotta: quella che direttamente assume su di sé la presa in carico di diritti e ne assicura il rispetto.

Nel marasma in cui annaspiamo in questo tempo oscuro, stentiamo a renderci conto che le alternative che cerchiamo le abbiamo praticate già. Ce le abbiamo a portata di mano, basta saperle vedere.

Angelo Barberi

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