Fuori la guerra dalla storia

Dieci anni fa la coalizione dei guerrafondai invadeva l’Iraq scatenando una atroce guerra di occupazione, osteggiata in tutto il mondo. Il 9 Aprile 2003 le forze angloamericane entravano a Baghdad occupando militarmente il territorio iracheno; il 15 Aprile 2003 il parlamento italiano approvava l’invio in Iraq di una missione di 3000 uomini che si metteva a disposizione delle forze d’occupazione angloamericane. La copertura mediatica fu totale; le istituzioni internazionali finsero di credere alle bugie di Bush e di Blair, confezionate dai servizi segreti, sul pericolo militare iracheno, sulle “armi di distruzione di massa” in possesso di quel paese; i petrolieri finanziarono l’impresa, e altri eserciti di mercenari prezzolati, di managers d’assalto, di rapinatori organizzati, fecero in breve dell’Iraq una terra disastrata e desertificata, depredata delle sue risorse, corrotta fino al midollo, con un potere fantoccio, ed oggi sempre più vicino all’Iran. Le attuali macerie irachene ci dicono che quella guerra fu la solita sporca guerra imperialista messa in piedi dai padroni del mondo, foraggiata dalle industrie di armamenti e dalle multinazionali del petrolio, che ha lasciato molti più problemi di quanti non ne abbia voluto risolvere, ma che ha assolto fino in fondo alla sua missione di ridare fiato all’economia statunitense e alle imprese del settore militare occidentali. Ma oggi nessuno può dire che quella guerra sia finita; nessuno è in grado di disegnare una mappa della democrazia irachena: lotte fra clan ed etnie, tra bande rivali, tra gruppi religiosi, stermini di massa ed attentati, il tutto con il coinvolgimento delle forze di occupazione, sono il quotidiano sopravvivere del popolo iracheno.
Là vicino, in Afghanistan si combatte ancora; il 2001 non è mai terminato; stati come l’Italia conducono la loro missione di guerra senza neanche più comprenderne i già fraudolenti perché: l’unico perché ci porta al solito foraggiamento della macchina militare. Ma è sempre il Medio Oriente, come pure l’Africa il terreno della guerra infinita che insanguina intere generazioni da decenni; Israele ha tratto giovamento da questo clima di allerta costante, potenziando il proprio arsenale e portando avanti i suoi progetti di annessione di territori palestinesi e di segregazione annientamento e del popolo resistente di Palestina.
Se la Corea del Nord ci ricorda che c’è anche un’altra area del Pianeta in cui la seconda guerra mondiale non può considerarsi cessata, il processo di militarizzazione della Sicilia, con la costruzione del MUOS a Niscemi, con la trasformazione di Sigonella in capitale mondiale dei droni, con il potenziamento di tutte le strutture militari NATO-amerikane, continua senza sosta. Le guerra del corno d’Africa o del Ciad si combattono a partire dalla Sicilia, così come si è combattuta la feroce guerra di aggressione alla Libia. Ovunque macerie, sangue, desertificazione, in nome della democrazia. Ma le bombe democratiche ci hanno solo regalato regimi clientelari e corrotti, integralismi e arretramenti culturali e sociali, e hanno ricacciato indietro di cent’anni la storia di quei paesi.
Oggi, dunque, la guerra è il principale sistema di regolazione dei conflitti fra le nazioni e gli Stati, ma questa regolazione è imposta dal più forte, dalla potenza che da sola supera tutte le altre, da quella che ha puntato tutto sulla forza militare, provocando gravi crisi economiche al suo interno e a livello internazionale, dalle quali tenta di uscire con nuove guerre, nuove depredazioni, nuove arroganze, scaricando sui popoli più deboli, sui continenti terre di rapina, e sugli stati-servi disseminati per il Mondo, di cui l’Italia è sicuramente uno dei più fedeli, gli effetti del conseguente collasso economico.
Le tecnologizzazione della guerra, ormai in stato avanzato, ci dimostra la volontà dei suoi assertori, di proseguire su questa strada per tutto il corso del secolo; la smilitarizzazione della Sicilia, a partire dalla mancata costruzione del MUOS a Niscemi e dallo smantellamento della base NRTF n.8 della Marina militare statunitense, può avere un ruolo di invertitore di rotta. I popoli devono poter decidere della propria vita, la guerra deve uscire dalla storia, assieme agli Stati e ai poteri che ne sono genitori.

Pippo Gurrieri

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