Del far cadere il governo

Non è una novità che gruppi politici che hanno nel loro DNA la conquista del potere vedano di buon occhio la caduta di un singolo governo, e a ciò dedichino energie e programmi di lotta, promuovendo cartelli tra movimenti e campagne politiche.
Ai tempi di Servire il popolo e Lotta Continua, scioperi, manifestazioni, iniziative per far cadere i Fanfani o gli Andreotti, ne abbiamo visti a bizzeffe, per non parlare dei più recenti movimenti per far cadere Berlusconi o agli attualissimi No Renzi day, ritenuti obiettivi strategici da decine di organizzazioni e realtà politico sociali.
Perché tutto questo non ci entusiasma e non ci ha mai entusiasmato? Perché la logica di far cadere un governo è una logica politica che finalizza ogni azione al ricambio della compagine governativa; tale ricambio, oltre tutto, nelle condizioni odierne dello scontro politico in Italia, non sarebbe altro che un avvicendamento interno al sistema dei partiti, ovvero, interno al Partito Unico che da tempo governa. Volente o nolente, oggi una caduta di Renzi agevolerebbe un governo fortemente populista e illusionista del Movimento 5 Stelle oppure una coalizione di destra. Dove sarebbe il cambiamento, stretto tra un populismo legalitarista e razzista e un neoliberismo continuista?
Questo ragionamento non significa che, quindi, non si debba far cadere Renzi o che qualsiasi movimento antigovernativo non possa che finire nelle grinfie o sotto la strumentalizzazione delle opposizioni di destra. Significa soltanto e semplicemente che basare una lotta sul piano della politica politicante, cioè schiava delle logiche parlamentari (com’è anche il movimento “per un No sociale alla controriforma costituzionale”), rischia concretamente di fare la mossa del gambero: mentre cerca di realizzare un obiettivo (la caduta del governo) retrocede su altri aspetti (rafforzando gli avversari del governo assisi al parlamento, e soprattutto rafforzando la fiducia nel sistema capitalistico).
Per noi un governo vale un altro; pur leggendone le diverse dinamiche politiche e temporali, e pur combattendo le sue azioni e decisioni, sono le finalità a distinguerci dagli altri movimenti “governativi”. Obiettivo delle lotte sono senz’altro le specifiche situazioni, ad esempio la “buona scuola”, le scelte guerrafondaie, i tagli alle pensioni, le infami leggi sul lavoro e così via; si fanno queste battaglie per conquistare migliori condizioni di vita e di lavoro e per indebolire il sistema, in quel determinato momento rappresentato da una specifica coalizione governativa, non certo per cambiare questa coalizione con un’altra. Ma si conducono lotte anche per promuovere metodologie rivoluzionarie e autogestionarie, per far crescere la consapevolezza che occorre cambiare non un governo con un altro ma l’impostazione gerarchica e statale della società con una in cui venga attuato l’autogoverno e la gestione dal basso.
Un movimento molto forte che, su queste basi riuscisse a far cadere un governo può ricavarne vantaggi significativi nella prospettiva della rivoluzione sociale. Se invece la prospettiva è quella di far cadere questo o quel governo; se si promuove l’odio personalistico contro un capo del governo come se la sua caduta fosse la soluzione; se si anelano alternanze con governi “amici”, così come ieri si gridava aleatoriamente per le strade “per un governo operaio e contadino”, allora quella non è la nostra strada, non è la nostra politica.
Ci interesse allargare l’odio per ogni forma di governo; ci interessa trasformare l’antistatalismo qualunquista molto diffuso (anche con la crescente astensione elettorale) in consapevolezza che dev’essere la riappropriazione della propria vita, la partecipazione diretta, con le sue forme comunitarie, cooperative, mutualistiche, autogestionarie, messe in atto già da oggi nei limiti del possibile con l’azione diretta, e degli spazi che si possono strappare alle grinfie statal-governative, l’unica via verso cui indirizzare la rabbia e la voglia – più o meno cosciente – di riscatto e di cambiamento presente fra gli sfruttati.

Pippo Gurrieri

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