NIMBY

Molte volte siamo stati accusati di essere affetti da sindrome di NIMBY (acronimo di Not In My Back Yard, cioè: non nel mio cortile) per le lotte che abbiamo condotto e stiamo conducendo, come quella del MUOS; un atteggiamento che – questa è l’accusa – porta egoisticamente a non guardare oltre il proprio ristretto interesse, infischiandosene dell’interesse generale.
Ebbene, per una volta vogliamo fare nostra l’accusa di essere affetti da questa malattia.
Da metà maggio una parte consistente della Sicilia ionica sarà militarizzata e occupata per consentire il dispiegarsi della farsa del G7. Sia pure per alcune settimane, la nostra isola subirà l’ennesimo affronto da parte delle grandi potenze, e una fetta di territorio le verrà sottratto per essere messo a disposizione delle varie truppe più o meno armate che l’invaderanno.
Mentre scriviamo l’agibilità politica nei territori attorno a Taormina, sede del G7, è già alquanto compromessa, ma man mano che ci avvicineremo al summit essa sarà interamente impedita, vietata, repressa e le attività commerciali e turistiche paralizzate.
Ribadire che non li vogliamo a casa nostra è non solo uno slogan, ma un obiettivo. Ospitare – senza averli invitati – gente come Trump e compari, è un precedente che occorrerà legarsi al dito. Trump verrà in un’isola che – di fatto – è diventata la cinquantunesima stella degli Stati Uniti, suoi occupanti dal 1943, quando qualcuno sognava di farla diventare la stella n.49. Con Sigonella e tutte le sue dependance, dalle basi NRTF e MUOS di Niscemi alla baia di Augusta, al fitto reticolato di postazioni radar, alle basi della NATO, l’isola è una polveriera nel cuore del Mediterraneo, e in una fase storica in cui al trono degli Stati Uniti sale l’ennesimo presidente guerrafondaio e per di più megalomane populista, che taglia cure mediche, salvaguardia dell’ambiente e assistenza umanitaria per incrementare le spese militari di altri 54 miliardi, l’avvenire di chi vive in questa terra si fa sempre più tetro. Tanto più che i governi italiani sono molto sensibili alle sirene militariste, e la ministra Pinotti ha già fatto sapere che intende rispondere affermativamente alla richiesta dell’amministrazione Trump di incrementare le spese per la NATO, annunciando di volerle portare dall’attuale 1,1% del PIL (equivalenti a 55 milioni al giorno) al 2% (100 milioni al giorno).
Il G7 di Taormina, come più volte ricordato, affronterà prevalentemente i temi dei conflitti che infiammano il globo, con un occhio particolare al disastro mediorientale; si occuperà della guerra ai migranti, che vede la Sicilia base operativa per le vergognose operazioni di respingimento, e ha trasformato il nostro mare in un cimitero con decine di migliaia cadaveri; e di guerra interna a tutto ciò che minacci la sicurezza (non dei cittadini, come qualcuno ha subito pensato, ma del sistema capitalista).
Noi siamo convinti che perdersi in preoccupazioni per l’impatto ambientale e illegale delle opere per il G7 – come al solito improvvisate, fuori controllo, scadenti ma molto costose – possa rappresentare un pericoloso diversivo. Senza nulla togliere alla necessità di denunciare quanto avviene su questo versante, occorre concentrarsi sul vero senso di questi vertici: i “grandi” si preoccupano di come possono continuare a spartirsi il Mondo, aggredirlo, annientarlo.
Le proteste che si vanno organizzando devono aver cura in primo luogo di informare su queste cose collegandole con quanto già avviene qui, col tallone di ferro che schiaccia le prospettive di vita, di lavoro e di futuro di milioni di persone, e riduce nuovamente i nostri giovani a mano d’opera a basso costo pronta a varcare lo Stretto per elemosinare un salario di fame o un lavoro di merda.
Sarà un percorso lungo i sentieri delle resistenze dal basso che agitano l’isola e i territori che fino ad ora sono rimasti a guardare, a rappresentare la migliore accoglienza al G7. Conferenze, convegni, assemblee, presenze nelle piazze, nelle scuole, nei luoghi di lavoro saranno di gran lunga più importanti dell’esito finale del percorso. Perché il G7 passerà ma le nostre battaglie, i nostri problemi, rimarranno.
Taormina non è Genova, e non è neanche Siracusa del contro G8 per l’ambiente di qualche anno fa. E neanche il 2017 è il 2001 o il 2009. Se sottrarsi allo spettacolo è fondamentale, dare vita a un altra rappresentazione – quella delle nostre battaglie, della nostra rabbia – è un obbligo.

Pippo Gurrieri

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