Eppure il vento soffia ancora

Movimenti dal basso. Petra smossa nun pigghia lippu

Una vulgata molto amata dai media arruolati in pianta stabile al servizio del governo clerico-fascista afferma che “gli italiani hanno scelto la destra”. Il vento di destra, quindi, sarebbe un dato di fatto oggettivo, non solo in Italia.
Nel commentare i risultati elettorali che portarono la Meloni al governo, ci soffermammo su due aspetti: il primo era il forte astensionismo, che riduceva la portata della vittoria della destra a poca cosa, e non autorizzava a parlare di un’Italia spostata a destra; il secondo: la strada per politiche di destra in campo economico, politico, militare, sociale, era stata spianata da tempo dai governi precedenti, compresi quelli tecnici, e quindi i vincitori avevano goduto di una eccezionale spinta; adesso non avrebbero fatto altro che chiudere il cerchio, aggiungendo il loro tocco “personale” in termini di repressione, accanimenti razzistici, giustizialismo verso i poveri e gli oppositori e garantismo verso i potenti. Tutte cose che stiamo regolarmente registrando.
E’ l’astensionismo uno degli elementi che sta realmente incidendo sulla politica italiana, a maggior ragione se punisce i partiti di sinistra e quell’esperimento mezzo abortito del Movimento 5 Stelle. Un astensionismo sicuramente consapevole dell’omologazione delle forze politiche e motivato da constatazioni molto semplici: la svalutazione dei salari e delle pensioni, la precarizzazione del lavoro e della vita, la povertà crescente, la smaccata attitudine a favorire i ricchi, la spiccata tendenza al militarismo con l’aumento delle missioni, delle spese militari, dell’interventismo in Ucraina ed altrove, il razzismo imperante non solo verso i non bianchi, ma verso ogni tipo di minoranza sociale: disabili, anziani (sempre meno minoranza), coppie omo, mondo LGBTQIA+, eccetera.
La bugia sugli italiani che hanno votato a destra fa comodo un po’ a tutti i politicanti. Se dunque un vento di destra spira dalle istituzioni (e quando mai è stato diversamente?), esiste, di certo, anche un controvento, ma sarebbe errato definirlo di sinistra, vista quanto velleitaria sia divenuta la differenza fra i due termini legati alla mistificazione parlamentare. Un controvento che parte dal basso, fatto da migliaia di persone impegnate in attività sociali senza un doppio fine o un progetto di potere; persone che danno vita, in maniera volontaria e disinteressata, a iniziative di sostegno, mutuo-aiuto, accoglienza, resistenza, sopportando le vittime del tritacarne capitalista.
Qualche settimana fa gli amici di Salvini, Meloni e del fu Berlusconi appollaiati sulla sponda messinese dello Stretto, definivano cavernicoli i 5000 manifestanti contro il Ponte tentando di discriminare fra modernità (il Ponte simbolo di progresso e i suoi famelici sostenitori) e arretratezza (gli oppositori). Contestando l’ideologia dello sviluppo, i cavernicoli, in cui ci riconosciamo, stanno invece tirando una linea di demarcazione insuperabile fra il capitale distruttore e le popolazioni prescelte come vittime sacrificali delle sue folli imprese per garantirsi sempre più profitti.
Per restare in Sicilia, il movimento NO MUOS, sorto in sordina nel 2008 e consolidatosi a partire dal 2012, rappresenta per longevità e capacità di tenuta, il più importante pungolo alle politiche militariste non solo italiane, ma internazionali e imperialiste che hanno base sull’isola. Esso pone da anni la centralità della guerra come l’asse strategico su cui si dipanano le politiche del capitale; per lungo tempo tale posizione è stata snobbata, sottovalutata, fuorviata; oggi pochi oserebbero negare la centralità della guerra e del militarismo, persino quanti si occupano di questioni apparentemente slegate, come il sindacalismo, il femminismo, l’istruzione, la salute. L’approccio del movimento anche rispetto al conflitto in Ucraina è stato quello di denunciare il ruolo di combelligerante dell’Italia ed il coinvolgimento della Sicilia, e di individuare nella lotta contro la presenza delle basi NATO-americane il nostro modo di lottare contro la guerra (non di schierarci con Putin). Il contributo del movimento NO MUOS è stato sempre caratterizzato da una volontà non egemonica e dalla necessità di costruire un fronte ampio contro la guerra, senza far da sponda a progetti politici di alcun tipo.
Le recenti mobilitazioni nelle aree interne della Sicilia contro il poligono per esercitazioni militari della Brigata Meccanizzata Aosta, che ha portato ad un primo importante risultato con il rifiuto dei comuni di Sperlinga, Nicosia e Gangi di cedere i loro territori all’esercito (risultato parziale, perché l’esercito può imporre la propria decisione se non trova l’adesione “volontaria” dei comuni), ci dimostrano come sotto la calma apparente, al riparo del presunto vento di destra, covi sempre la fiamma della rivolta e della dignità. Fiamma che, per altri versi, brucia in parecchi territori, dai Nebrodi ai luoghi contaminati e disastrati dei poli industriali, e che anima mobilitazioni solo apparentemente locali, per l’acqua pubblica, per una sanità più efficiente e diffusa sul territorio, contro l’autonomia differenziata, ennesima mazzata colonialista contro la Sicilia e il Mezzogiorno. Lotte che, per altro, hanno luogo in molte località italiane, sia pure a riflettori spenti da parte dei media di regime.
E se guardiamo alla Sardegna, e alle sue lotte contro le sterminate servitù militari, contro le basi NATO, i radar impattanti, le fabbriche di armamenti; o volgiamo lo sguardo alla Toscana, con il movimento No Base, i suoi campeggi, le sue assemblee e le mobilitazioni, o al Friuli, con il ritorno delle manifestazioni ad Aviano e le denunce delle servitù militari al confine, ci accorgiamo del grande potenziale che si agita nella società reale. E che continua ad agitarsi da decenni, come in Val Susa, dove, al di là delle parole del governo, il TAV è impantanato. La recente manifestazione in Maurienne, con le cariche della polizia francese e il divieto ai pullman italiani di attraversare il confine, ci sembra il più chiaro indice di quanto la resistenza al capitale e ai suoi folli progetti possa essere più forte della repressione (decine i compagni NO TAV in carcere o sottoposti a provvedimenti restrittivi della loro libertà) e della mistificazione giornalistica a pagamento.
Nelle vene delle comunità, dalla Val Susa alla Sicilia, scorre un anelito di ribellione, a volte istintivo, altre ragionato e cosciente, altre ancora latente, in grado di inceppare i progetti dei potenti.
Le azioni del mondo ambientalista più radicale sbattono in faccia ai governi e ad una opinione pubblica drogata l’irreparabile deriva della terra e di tutti in suoi esseri viventi cui ci trascina la voracità del capitale. Additati come delinquenti, gli attivisti vengono isolati e denunciati per ridurre al silenzio una pratica che tende a generalizzarsi.
Anche in Romagna hanno cercato di cancellare le migliaia di ragazze e ragazzi (e non solo) accorsi a prestare aiuto dopo l’alluvione, prima ancora che gli apparati dello Stato si muovessero; la solidarietà che un sistema che parla di merito e inculca l’individualismo consumista vorrebbe cancellare o delegare alla Chiesa, emerge come forma di riappropriazione dal basso delle relazioni e di autodeterminazione delle vite. Il transfemminismo, i pride, specie quelli stanchi di essere inquadrati dalle istituzioni, i settori del mondo del lavoro che non si arrendono alla sconfitta, sono quanto di più vivo possa esprimere oggi la società, il controvento che finirà per allontanare la puzza di morte del potere. A condizione di sapersi unire, contaminare, abbracciare, rispettare, dotare di obiettivi comuni perché comuni sono i nemici. Da sempre.

Pippo Gurrieri

Questa voce è stata pubblicata in Articoli. Contrassegna il permalink.