Due popoli, nessuno Stato

Medio Oriente. Libero dall’odio e dalla guerra

Quello che sta accadendo in Israele-Palestina non ha nulla dell’inconcepibile, sebbene ne siamo sconvolti fin quasi all’afasia. L’orrore non ci ha mai abbandonati, particolarmente nella nostra età moderna. “Si trattava di un villaggio àvaro che i Bulgari avevano incendiato, secondo le leggi del diritto pubblico. Qui vecchi crivellati di colpi guardavano morire le loro mogli sgozzate, che stringevano i bambini alle mammelle sanguinanti; là ragazze sventrate, dopo avere saziato i naturali bisogni di qualche eroe, esalavano l’ultimo respiro; altre, semibruciate, gridavano implorando di finirle. Cervelli erano sparsi per terra, accanto a braccia e gambe tagliate”. E’ un passo del Candido o l’ottimismo di Voltaire, nel quale il filosofo illuminista con affilata ironia ci mette di fronte alle mostruosità delle tante guerre che insanguinarono l’Europa per buona parte del Settecento.
Come allora, ancora oggi sono gli Stati, in nome di presunti diritti di nazionalità, identità, etnia a fomentare le guerre, a pianificarle, a dirigerle. Quegli Stati che si attribuiscono il monopolio “legittimo” della violenza, anche quella più efferata, e se ne servono a piacimento. E “per un raffinamento di malignità” si inventano anche il galateo della guerra, il fatidico diritto internazionale, più volte invocato anche in questi giorni terribili, che è una finzione, un modo arrogante per ritenersi ancora umani (umanità, che bella parola!).
Visto sotto questo aspetto, di un mondo che continuamente squaderna violenza, i cui limiti non sono mai sazi, il conflitto odierno tra palestinesi e israeliani, o meglio tra governo israeliano, col suo esercito super equipaggiato e Hamas (ed ogni altra frangia che si arroga il diritto di poter dispensare vita e morte per nemici e amici) non è altro che l’ennesimo abominio della guerra che sparge le sue mefitiche spire in giro per il mondo.
Certo all’indomani del 7 ottobre, della spaventosa carneficina compiuta da Hamas, tutti abbiamo provato sgomento, ma di fronte allo sconcerto di chi discettava su quel di più di non umano che avrebbe animato i miliziani palestinesi e che avrebbe segnato un limite oltrepassato, a me personalmente è venuto in mente Verga quando nella novella Libertà scrive: “[…] uno gli aveva messo lo scarpone sulla guancia e gliel’aveva sfracellata; nonostante il ragazzo chiedeva ancora grazie colle mani. […] Il taglialegna, dalla pietà, gli menò un gran colpo di scure colle due mani […] Un altro gridò: -Bah! Egli sarebbe stato notaio, anche lui!”. E questa era la rabbia dei contadini contro chi li sfruttava e li derideva. Proviamo solo a immaginare a quale pozzo di collera, di ira, di odio possono attingere i palestinesi. Nel 2022 sono stati 45 i bambini uccisi dall’esercito israeliano nei Territori occupati e nel 2023, fino alla terribile mattanza che adesso si sta vivendo a Gaza, erano stati 44 (dati Save the children del 18 settembre 2023). Senza contare le migliaia di morti solo degli ultimi 15 anni e il persistente regime di apartheid cui sono costretti dalla legislazione israeliana.
Nella pur intricata e arrovellata questione israelo-palestinese odierna, le dinamiche storiche appaiono di una linearità persino disarmante. Basta dare un occhio anche superficiale ad una qualche carta geografica dell’area che riproduce l’evoluzione della divisione dei territori tra israeliani e palestinesi per rendersi conto di come è stato un continuo appropriarsi di territori da parte di Israele e un progressivo confinare i palestinesi dentro ghetti e campi profughi. Una tendenza che continua persino adesso tra bombe e massacri, infatti dei coloni israeliani stanno occupando alcuni villaggi abbandonati dai palestinesi a causa dei bombardamenti. Senza questa prospettiva storica qualsiasi discorso che si appelli esclusivamente ai reciproci torti, alle reciproche violenze non può fare altro che alimentare altra violenza e altri torti, in una catena senza soluzione, per soddisfazione e convenienza di Stati e governi. Perché se si è giunti a questo punto ci sono precise responsabilità di tutti i governi che si sono succeduti in Israele da sempre; di tutte le potenze imperialiste (dagli Stati Uniti, alla Russia, all’Europa, alla Cina) che trafficano col dolore del mondo; di chiunque, palestinese o mondo arabo, concepisce solo logiche statuali e di contrapposizione. Allora non è solo colpa di un Netanyahu, oggi il perfetto capro espiatorio che mette così al riparo da responsabilità tanto i governi occidentali quanto la democrazia israeliana e allo stesso tempo viene autorizzato a farsi strumento di vendetta.
Così oggi, 31 ottobre, i bombardamenti su Gaza continuano incessanti, l’invasione di terra che dovrebbe spazzare via per sempre Hamas è iniziata e la conta dei morti si aggiorna di ora in ora, più di ottomila, di cui più di tremila bambini. La guerra aperta dal governo israeliano in risposta all’attacco di Hamas può trovare le sue giustificazioni e i suoi appoggi. In primo luogo la difesa del popolo ebraico, che ha le sue radici profonde nelle vicende storiche che lo hanno visto vittima prediletta fino alla Shoa. Ma oggi questa difesa si colora di vendetta, vendetta che come tale non potrà avere nessuna pietà, neppure di civili inermi. Altro vessillo di cui si ammanta il governo israeliano è quello della difesa dei valori democratici e occidentali dagli attacchi di una cultura pre-moderna, maschilista e autoritaria, rappresentata da Hamas. E’ uno schema che ha funzionato in varie occasioni, ultima per la guerra in Ucraina, che, se soddisfa la propaganda occidentale, lascia dietro di sé solo macerie e instabilità. Ma nessuna preoccupazione sembra attraversare i governi occidentali, sebbene di fronte alla strage che si sta perpetrando a Gaza siano stati costretti a operare distinguo capziosi, come quello del ministro degli Esteri italiano, il quale ha dichiarato che quella israeliana deve essere una “reazione proporzionata”. Chissà se ritiene che gli ottomila morti già registrati tra i palestinesi siano proporzionati ai millequattrocento provocati dall’attacco di Hamas! Di fatto capi di governo e Stati si stanno muovendo su un crinale pericoloso che un qualsiasi piccolo incidente può fare precipitare in un conflitto più ampio e irreversibile. Ma tant’è, per loro è più importante mantenere posizioni ed egemonie piuttosto che salvare vite umane.
Stando così le cose nessuna soluzione può venire dalla politica istituzionale, dalla diplomazia – l’inutilità dell’Onu in questa crisi dovrebbe essere per gli Stati imbarazzante – o dalla strategia terroristica. Anzi si prospetta un irrigidirsi delle posizioni e altra, e chissà quanto più efferata, violenza. Unica speranza potrebbe essere un presa di parola delle popolazioni palestinese e israeliana che, superando steccati e diffidenze, riuscissero a trovare modalità di convivenza, possibilità di incontro, capacità di dialogo, in un percorso magari lento ma capace di farli uscire dal tunnel dell’odio e della sopraffazione. Utopia? No, solo la possibilità di dare continuità e corpo alle numerose esperienze che, ieri come oggi, sono in grado di abbattere ogni barriera e favorire la coesistenza. Mentre l’ostilità dei governi e delle istituzioni e lo sclerotizzarsi delle nazionalità e delle identità hanno impedito che processi fecondi e portatori di pace si compissero. Allora niente due popoli e due Stati, solo un unico spazio comune di coabitazione. 

Angelo Barberi

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