LA SICILIA IN FIAMME

Devastazioni. Un disegno politico e strategico

Anche questa estate la Sicilia è stata devastata dagli incendi. 60.0000 ettari di territorio sono andati in fumo al momento in cui scriviamo (ma l’emergenza continua): circa il 70% dei suoli attraversati da incendi in tutta Italia. Si aggiungono ai 193.788 ettari che, secondo dati ufficiali, sono stati bruciati nel decennio 2013-2022, di cui almeno la metà in aree boscate protette. Se consideriamo che il patrimonio boschivo dell’Isola è valutato in 381.647 ettari complessivi, risulta lampante l’enormità del disastro. Questa è resa ancor più evidente dal fallimento del sistema antincendio e di protezione civile – il più imponente d’Italia -, dal ritardato o inefficace intervento di carabinieri e operai forestali, di guardiaparco, di vigili del fuoco, di associazioni di volontariato, che sulla carta avrebbero dovuto allertarsi secondo piani prestabiliti ancor prima che iniziasse la stagione estiva. Perché ciò non è avvenuto?
La cultura della prevenzione, la messa in sicurezza dei territori, il lavoro verde e persino l’educazione ambientale, si sa, non appartengono alla destra al potere in Sicilia e nel resto d’Italia, che preferisce anzi puntare sulla repressione postuma, sulla militarizzazione delle campagne, sugli scoop per la presa di pochissimi presunti piromani, e sulle interviste paraculo in cui i suoi esponenti si rimpallano le responsabilità (come tra il ministro della protezione civile ed ex presidente della Regione Musumeci e l’attuale presidente Schifani) o criminalizzare gli operatori del settore, che rischiano quotidianamente la vita, e le stesse popolazioni delle aree coinvolte. È un dato di fatto che la prevenzione e l’ambiente siano volutamente trascurati e talvolta avversati dai governi in carica, col negazionismo climatico, coi sussidi sottratti alla transizione verde per foraggiare l’industria fossile, col depotenziamento e la distrazione delle forze deputate al controllo ambientale (i carabinieri – ex guardie – forestali sempre più chiamati a compiti di polizia giudiziaria), con l’abbandono delle “torrette” di avvistamento, delle perlustrazioni giornaliere dei boschi, dei lavori di pulitura, manutenzione, ripristino dei viali tagliafuoco e delle piste antincendio, con le mancate o ritardate assunzioni degli operai forestali.
Dietro tutto questo traspare un disegno politico e strategico che oggettivamente incoraggia tutti coloro, piromani, speculatori, intrallazzatori, proprietari e costruttori abusivi che hanno in odio le aree a verde dell’Isola e che per interesse economico o politico o addirittura per pregiudizio ideologico premono per richiederne la dismissione, la riduzione, la riperimetrazione e, quando non l’ottengono per vie formali, si fanno pochi scrupoli ad attentarvi nei modi più disparati e, per ultimo, con gli incendi. Delle istanze di costoro, specialmente nella Sicilia Occidentale, si è fatta probabilmente carico l’organizzazione mafiosa, dapprima con minacce, ricatti, scambio di voti, e oggi passando alle vie di fatto.
Lo si nota particolarmente quest’anno nell’attacco deliberato alle aree tutelate a parco e alle riserve naturali e archeologiche gestite dallo Stato e dalla Regione, e nel dilagare degli incendi in prossimità dei centri abitati e perfino nelle periferie delle grandi città. Si tratta nel primo caso di un vero e proprio attentato alla proprietà pubblica, ai beni comuni – storici e naturalistici – dei siciliani e alle istituzioni che se ne fanno garanti, ma che nell’occasione hanno rivelato tutte le loro reali inefficienze. Dall’Etna alle Madonie, dai Nebrodi all’Alcantara, da Capo Gallo a Monte Pellegrino, da Segesta a Pantalica, da Tindari a Ragusa Ibla, dal Monte Bonifato di Alcamo al lago Poma di Partinico, dallo Zingaro a Erice, da Piazza Armerina al parco minerario Floristella-Grottacalda ben poco è stato risparmiato dalle mire dei piromani, che hanno potuto agire indisturbati in ambienti accoglienti. Nel secondo caso ci si è trovati di fronte a situazioni definite tecnicamente “fuori controllo”, di resa incondizionata al fuoco da parte degli apparati di protezione civile, inconcepibile e inimmaginabile solo pochi anni fa, che hanno prodotto tre morti, centinaia tra feriti e intossicati dal fumo, l’evacuazione di interi paesi e frazioni, ad Oliveri, Giarre, Scopello, Acicatena, Campofelice di Roccella, San Vito lo Capo, Scicli, Trappeto, Petralia Soprana, Cinisi … Il fuoco ha circondato Palermo, è penetrato nelle periferie della città, a Ciaculli, Monreale, Giacalone, Altofonte, Mondello, Sferracavallo, e ha raggiunto la discarica di Bellolampo, sprigionando nell’aria una nube di diossina che in città ha toccato 35 volte i valori massimi consentiti, costringendo i cittadini a tapparsi in casa e a reindossare le mascherine.
In questi come negli altri clamorosi casi di sospensione dei voli per diversi giorni dai tre principali aeroporti siciliani (Catania Fontanarossa, Palermo Punta Raisi e Trapani Birgi), con una perdita stimata del 30% del traffico turistico, dell’interruzione dei collegamenti ferroviari e autostradali, dei blackout elettrici e idrici, provocati dal fuoco e dal caldo “africano” e verificatisi un po’ ovunque, si sono manifestate tutte le carenze gestionali e infrastrutturali di cui soffre la Sicilia, per responsabilità di una classe politica arraffatrice e incapace, quando non corrotta, che gli imbellettamenti di facciata non sono riusciti stavolta a mascherare.
Sono insufficienti o in avaria o inadeguati mezzi e personale, vi è un eccesso di burocrazia e sciatteria nell’attività di prevenzione, previsione e contrasto di eventi peraltro annunciati e ricorrenti, non esistono vie di fuga in molti paesi e città, soprattutto mancano di piani di funzionamento alternativi per le infrastrutture strategiche e di grande comunicazione, magistratura, università, mezzi di informazione sono sempre più supini ai governi in carica e incapaci di prospettare rimedi.
I fenomeni climatici estremi (caldo eccessivo, “bombe d’acqua”, forti venti sciroccali), che hanno inciso sullo sviluppo degli incendi ma sui quali i politici regionali scaricano le proprie responsabilità, non vanno affatto considerati come delle attenuanti, a cui si appellano sempre più i politici culi di bronzo e i burocrati degli Enti regionali ad essi ammanicati, ma delle aggravanti piuttosto, riguardo alle loro colpevoli inadempienze, in quanto – lo capiscono perfino i bambini – per contrastarli bisogna attrezzarsi di più e meglio e non di meno rispetto al passato.
A chi comanda dall’alto e su di sé concentra ogni potere d’intervento che va in primo luogo addebitato questo permanente sfregio al cuore verde della Sicilia, la messa a repentaglio della vita dei singoli e delle comunità rurali, la distruzione di boschi e colture. I rimedi devono provenire dal basso: da una mobilitazione di massa per la rimozione dei responsabili, innanzitutto, ma anche per far sì che siano i Comuni, possibilmente coordinandosi tra loro, a tornare protagonisti della lotta agli incendi, impiegando e distaccando in essi un congruo numero di operai forestali, affiancati da gruppi di volontari, solidamente formati, muniti di sensori antifumo, di torrette e posti di avvistamento, e comunque di tutti quei mezzi necessari per operare un controllo capillare del territorio. Occorre coinvolgere questi gruppi, unitamente a selvicoltori e tecnici forestali, nella redazione di veri piani di intervento per la manutenzione costante, la tutela e la salvaguardia dei boschi e delle popolazioni. Occorre aprire una vertenza “per l’imponibile di manodopera”, al fine di imporre l’assunzione delle tante figure professionali che abbisognano (forestali, cantonieri, tecnici agronomi, ecc.) per la tutela ambientale ma anche per la valorizzazione del paesaggio, dei territori e dei prodotti coltivati o spontanei. Ma più di tutto occorre che i giovani disoccupati, quelli che studiano altrove, le tante forze vive dell’associazionismo e del volontariato locale, ritrovino il gusto per l’impegno in prima persona nel luogo dove vivono. Solo dal basso, da chi conosce il territorio, da chi lo ama appassionatamente – e sono tantissimi -, da chi opera a favore della propria comunità ed ha interesse alla sua salvaguardia, può arrivare finalmente quel moto di riscossa che serva a debellare gli incendi e le devastazioni del territorio.

Natale Musarra

 

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